Non è la fine del mondo

Non è la fine del mondo… e forse è vero.

Ho ricominciato a leggere, a scrivere un po’ meno. 
Ho ricominciato a leggere ed è vero che esiste un diritto alienabile del lettore: quello di prendersi delle pause, più o meno lunghe, dalle letture. 

A tanti sarà capitato: vagare fra gli scaffali delle librerie, percorrere con il dito i libri della propria biblioteca, cercare on-line nuovi titoli, leggere recensioni, avere la voglia di fiondarsi fra le parole di un buon libro e poi… fermarsi. Non credo sia molto diverso dal blocco dello scrittore: lo stesso conforto nelle parole lo trova chi scrive e chi legge, in fondo. 

Ora Non è la fine del mondo di Alessia Gazzola è davvero il libro per coloro che si trovano in quella zona grigia, coloro che hanno il desiderio di ritrovare l’avidità di lettura, un sorriso fra i paragrafi e la voglia di arrivare fino alla fine. Questo libro lo permette, questo libro, che sicuramente a torto definirei feel-good, fa del bene veramente. 

Premetto che sono una lettrice di feel-good book e premetto che nonostante conoscessi l’autore, almeno per i diversi articoli nei giornali, non avevo mai letto nulla. Una scoperta dolce, dal sapore di miele e cannella in un pomeriggio d’inverno. 

In fondo non credo di sbagliare se affermo che di tanto in tanto ci sentiamo tutti un pochino Emma, la protagonista. Chi lavora nel settore culturale sicuramente ha vissuto la stessa frustrazione nella propria ricerca estetica, che si tratti di libri, cinema, opere d’arte o musica. Quante volte è capitato di dire che il commerciale e il facile va per la maggiore? Quante volte ci siamo sentiti frustrati nella non confortevole consapevolezza che il “difficile”, la raffinatezza estetica che ci porta a prediligere una parola rispetto ad un’altra non paghi in realtà? Sempre più il difficile si tramuta in ermetico, quasi oscuro, a tratti stancante, spesso troppo impegnativo, diremmo. 

Ecco, alla base di questo libro -la cui trama per un avido lettore è fin troppo lineare-, vi è questo messaggio: mai stancarsi del bello e del difficile, mai accontentarsi nel gusto dominante. Probabilmente, se la trama non fosse stata così scorrevole, questa riflessione sarebbe emersa con più difficoltà, ma alla fine, quando leggiamo non leggiamo solo per la storia, leggiamo per il messaggio della storia e questo messaggio posso garantire che mette davvero di buon umore. 

Nel 2021 oramai sono diverse le generazioni che hanno potuto fare esperienza del famoso stage. LO stage. Quello al quale ci si aggrappa con la speranza di esser notati, quello per il quale si è motivati anche alle otto di sera, quello per il quale si sogna un’evoluzione e un piede nell’Azienda di turno. Ecco, siamo stati tutti un pochino Emma. Certo non avremo mai la possibilità di dire in quanto lettori che Emma siamo noi, per parafrasare Flaubert, ma di certo in Emma ci rispecchiamo a 23, 28, 30 e perché no, anche 40 anni. 

Uno stile che sa sorprendere, nel quale è bello ritrovare una scelta lessicale di tanto in tanto medio-alta, che si accompagna all’autoironia con armonia, nell’esecuzione perfetta di un leggero virtuosismo stilistico. 

Non me ne si voglia se definisco questo libro nel gergo americano “feel-good”: uno perché i libri non andrebbero mai etichettati, ancor meno gli autori, due perché il termine è importato. Tuttavia questo libro fa proprio del bene e soprattutto fa star bene, dalla prima all’ultima pagina. Un libro che andrebbe consigliato come una cura per il lettore smarrito, che ci riavvicina – nei momenti di difficoltà – al potere lenitivo delle parole, delle descrizioni e delle sensazioni. Il libro che regala sinestesie, che fa sentire profumi, fragranze e sapori di una vita normale che tutti conduciamo nell’incessante salto all’ostacolo delle difficoltà quotidiane. 

Il mio personaggio preferito? Non è Emma. Ma colei le cui mani annodate producono nonostante tutto la bellezza. La ricerca estetica è un atto politico e quindi sociale, da non confondere con la ricerca della perfezione, perché la ricerca della perfezione spesso destina all’impasse. 

La trama

Emma De Tessent è un’eterna stagista, trentenne, carina, di buona famiglia, brillante negli studi, salda nei valori (quasi sempre). Ha un sogno proibito: il villino con il glicine dove si rifugia quando si sente giù. Altro? No, la lista è lunga. Desidera un uomo che probabilmente esiste solo nei romanzi regency di cui va matta. Un contratto a tempo indeterminato.
Il giorno in cui la società di produzione cinematografica per cui lavora non le rinnova il contratto, Emma si sente davvero come una delle eroine romantiche dei suoi romanzi: sola, a lottare contro la sorte avversa e la fine del mondo. Avvilita e depressa, dopo una serie di colloqui di lavoro fallimentari trova rifugio in un negozio di vestiti per bambini, dove viene presa come assistente. E così tutto cambia. Ma proprio quando si convince che la tempesta si sia finalmente allontanata, il passato torna a bussare alla sua porta: il mondo del cinema rivuole lei, la tenace stagista.
Deve tornare a inseguire il suo sogno oppure restare dov’è? E perché il famoso scrittore che Emma aveva a lungo cercato di convincere a cederle i diritti di trasposizione cinematografica del suo romanzo si è infine deciso a farlo? E cosa vuole da lei quell’affascinante produttore che continua a ronzare intorno al negozio dove lavora?

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