Ci sono dei viaggi iniziatici che non abbiamo scelto di fare, perché partire è una questione di vita o di morte. Questo potrebbe riassumere la storia di Enaiatollah Akbari, detto Enaiat, che racconta questa realtà al giornalista Fabio Geda.
È una testimonianza indispensabile per capire che nel nostro mondo contemporaneo, le distanze tra noi possono essere sorpassate grazie a valori come il coraggio e la bontà. Enaiat l’ha imparato quando era alto come una capra, dovendo fuggire dal suo paese alla ricerca di un posto dove potersi sentire finalmente a casa.
Questa storia vera, che ci trasporta dalle montagne dell’Afghanistan al Nord dell’Italia, è quella di tutti i rifugiati politici, ma ci arriva dritta al cuore grazie alle parole di Enaiat, dotate di una sensibilità unica. Proprio così, l’autore Fabio Geda ha conservato tutti i sentimenti e lo sguardo del giovane protagonista che ha oggi (forse) 21 anni. Aveva circa 9 anni quando sua madre lo abbandonò in Pakistan perché non le era più possibile nasconderlo dai Pashtun e dai Talebani. Enaiat era conscio che nessun ritorno non sarebbe stato possibile, perché essere un hazara sciita in Afghanistan significa vivere giorno e notte con la paura. La situazione politico-religiosa e la complessità delle relazioni tra le etnie in questa parte dell’Asia centrale hanno interrotto l’infanzia già danneggiata di Enaiat…
Così va avanti, e passo dopo passo, allarga il suo orizzonte e la nostra visione ristretta del mondo. Sì, è vero che oggi possiamo ancora dire homo homini lupus, ma sulle strade più difficili e pericolose, si incontrano a volte belle anime che non chiedono nulla in cambio. Questa è la forza della scrittura: non si sarebbero potute trascrivere le parole di Enaiat se questi atti di generosità non si fossero avverati. Noi, i lettori, ci rendiamo conto che essendo attori di un mondo meno pazzo e violento, possiamo anche salvare gli esseri umani e le loro storie da raccontare. Ma come è riuscito Enaiat a trasmettere le sue emozioni in italiano, senza traduzione, e cosa apporta questa scrittura multilingua, con molte parole in diverse lingue straniere, frutto del suo lungo viaggio?
All’interno delle frasi italiane si leggono parole in persiano, una lingua madre ormai lontana: «[…] e la nostra lingua ci suonava straniera come non era mai successo, tra noi, durante l’infanzia»1.
È una scrittura polifonica, marcata dall’esperienza e dall’oralità. Vogliamo leggere queste nuove parole ad alta voce, sapendo dal narratore che gli accenti variano enormemente da una regione all’altra. È proprio questa differenza di accento che a volte mette nei guai Enaiat! Durante il suo viaggio, impara anche l’inglese (iniziando con una parola indispensabile… “house”) e deve cavarsela da solo con il greco. Insomma, la lingua di Enaiat è la lingua della sua storia. Il suo apprendimento dell’italiano ne fa parte, è la lingua della libertà: «[…] destino e destinazione si assomigliano, vero?»2.
E quando non è possibile parlare, farsi capire, chiedere aiuto o trovare amicizia, il silenzio è davvero sinonimo di morte. Senza un grido, nel freddo delle montagne, al fondo di un camion pieno di clandestini o sul mare agitato, i corpi soffrono, la vita e la speranza scompaiono, la memoria degli uomini si spegne. E quando non ci sono più parole, ci sono le immagini del dolore e, di tanto in tanto, qualche miracolo che rompe il silenzio: la comunità afgana, in tutto il mondo, si unisce quando uno dei suoi membri sente parole in persiano tra la folla. Ma oltre la solidarietà all’interno di una comunità, questo libro ci insegna che le interazioni sono possibili quando le orecchie ascoltano e gli occhi guardano, perché Enaiat parla la lingua delle emozioni, con le parole di vari paesi, ma con la sua propria vivacità.
Accumuliamo pregiudizi perché non ci fermiamo, andiamo avanti per la nostra strada con i paraocchi, senza prendere tempo di ascoltare le storie degli altri. Ma grazie a questa lettura incrociamo la strada di Enaiat e il nostro pensiero ristretto si espande. Dopo aver chiuso questo libro, vogliamo sentire altre storie come questa, che sono certamente tragiche, ma che rivelano anche quanto i nostri destini siano legati gli uni agli altri. Perché sulle barche che trasportano immigrati illegali, i coccodrilli saranno sempre meno spaventosi dell’indifferenza degli uomini.
- Fabio Geda, Nel mare ci sono i coccodrilli. Storia vera di Enaiatollah Akbari, Baldini + Castoldi, 2017, p.138
- Fabio Geda, Nel mare ci sono i coccodrilli. Storia vera di Enaiatollah Akbari, Baldini + Castoldi, 2017, p.57
