L'inconfondibile tristezza al limone

L’inconfondibile tristezza della torta al limone

L’inconfondibile tristezza della torta al limone (minimum fax) di Aimee Bender è uno di quei libri che stravolgono. Tradotto da Damiano Abeni e Moira Egan, il libro è uscito in Italia nel febbraio dello scorso anno ed è stato tradotto in più di dieci lingue.

La storia

Rose Edelstein non è una bambina come le altre. Alla vigilia del suo nono compleanno scopre di avere un dono particolare: può capire le emozioni di chi cucina assaggiando i suoi piatti. Immaginate di poter risalire alla rabbia di un pasticciere, alla frustrazione dei cuochi della mensa scolastica, ma soprattutto ai sapori di angoscia, disperazione e senso di colpa delle torte di vostra madre… come gestireste questo dono?

È così che, la bambina, poi adolescente e infine ventenne, si troverà costretta a confrontarsi con la vita segreta della sua famiglia: col passare del tempo scoprirà che anche il padre e il fratello hanno doni misteriosi con cui affrontare il mondo.

Ho scoperto per la prima volta Aimee Bender con questo libro. L’ho comprato alla fiera di Roma poiché la copertina e il titolo mi avevano rapito. Volutamente non ho letto la quarta di copertina poiché pensavo d’immergermi nella lettura senza nessun indizio. Choc.

Quello che credevo essere un libro intriso d’ironia si è rivelato un racconto denso, a tratti lento, proprio come una degustazione, da assaporare fino all’ultima pagina. Se la madeleine di Proust portava il protagonista ai ricordi di un’infanzia, le preparazioni della mamma di Rose, cosi come dei cuochi del quartiere, riportano Rose nel presente delle emozioni e del vissuto di ciascun personaggio.

L’inconfondibile tristezza della torta al limone è tutt’altro che un libro facile di accesso, nonostante una trama che potrebbe suggerire questa falsa pista e chiave di lettura. Echeggia Marquez fra le pagine che scorrono, almeno per quanto mi riguarda, lente e cadenzate. Unico neo: la caratterizzazione del personaggio del fratello di Rose.

Alla fine del romanzo sono rimasta con la bocca un po’ asciutta poiché il suo dono è descritto in modo volutamente misterioso. Non sappiamo qual è il vero malessere di Joseph: riesce ad apparire e scomparire dalla realtà, a fondersi con una sedia: ma cosa vorrà dire? Il mistero lascia allora le porte aperte a più interpretazioni: è in grado di mimetizzarsi con il mondo che lo circonda nonostante la sua passione ossessiva per la scienza? È vittima di un mal di vivere che lo porterà al suicidio, se di suicidio si tratta? Qual è il suo ruolo nel mondo? Lascio a voi la vostra interpretazione, proprio come la Bender lo lascia a noi lettori.

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